
Gli anni ’80-’90 hanno sicuramente lasciato il segno nella storia della pesca sportiva per le catture di tonni rossi che grazie alla loro mole, che spesso superava i 250 kg di peso, e alla loro resistenza, impegnavano gli anglers in lunghi e impegnativi combattimenti.
Come spesso abbiamo visto accadere però, fattori umani come la forte pressione di pesca non regolamentata e fattori naturali come l’aumento delle temperature, la variazione del flusso delle correnti, e quindi la presenza o meno di nutrienti e pesce foraggio, portano ad una continua metamorfosi nelle abitudini e nel comportamento dei pesci.
Il mare Adriatico in particolare, essendo un mare chiuso su tre lati, forma un bacino che un tempo ospitava tonni di oltre 300 kg, che migravano da sud a nord nel periodo invernale a ridosso delle coste croate e ridiscendevano nel periodo primaverile-estivo lungo le coste italiane, compiendo piccoli spostamenti in un habitat ricco di cibo, così che l’accrescimento risultava molto veloce. La tecnica del drifting iniziò quindi negli anni ’80 a dare i suoi primi frutti con catture da record.
Come detto in precedenza però, molti fattori portarono in breve tempo ad un ribaltamento della situazione, e a cavallo degli anni 2000 il mare Adriatico in particolare, mostrò l’altro lato della medaglia: i titani che per un ventennio ci avevano regalato forti scariche di adrenalina sembravano spariti.
In questa fase molte cose cambiarono, anche dal punto di vista legislativo: vi fu infatti l’istituzione di un permesso di pesca e la limitazione nella detenzione di un solo esemplare al giorno.
Difficile dire quali furono le motivazioni, se di origine umana (regolamentazioni e i divieti), o naturale (con cambio di correnti e variazione della quantità di pesce foraggio), ma nel luglio del 2008 il cicalino della frizione di un grosso mulinello da drifting iniziò a cantare di nuovo.
Da quel giorno molte barche ricominciarono ad uscire e le allamate furono sempre più numerose, con una piccola variante: i tonni che prima viaggiavano singolarmente o in coppia, ora passavano in veri e propri banchi e la grossa taglia dei pesci che prima richiedeva attrezzature e barche specifiche si era di molto ridimensionata, permettendo quindi la pesca con attrezzature light e barche non specifiche per la pesca in altura.
E POI VENNERO A GALLA.
Negli anni 2009-2010 un’altra importante novità venne percepita dagli anglers dell’Adriatico: i banchi di tonni che fino a quel momento cacciavano a batimetriche prossime ai 20/30 metri, avevano deciso di salire in superficie, spingendo il pesce foraggio a fior d’acqua e creando vere e proprie mangianze.
I primi tentativi di allamata vennero fatti filando in acqua lenze armate con sarda o esca viva in mezzo alla mangianza, oppure trainando con artificiali, piume e minnows. Altri anglers tentarono invece un approccio diverso, avvicinandosi lentamente e lanciando nel mezzo della schiuma dei jig di grosse dimensioni con canne nate per la pesca in vertical, dal momento che non esistevano ancora nello scenario italiano attrezzature realizzate per questa specifica tecnica.
Arrivarono i primi strike, e ci si prospettava dinanzi un nuovo mondo tutto da scoprire.
Importante fu l’esperienza di alcuni anglers che praticando la tecnica dello spinning ai tropici, avevano a disposizione canne, mulinelli, artificiali e trecciati che potevano adattarsi discretamente a questa nuova realtà.
SCELTA DELLA CANNA.
Ogni tecnica ha bisogno di un attrezzo mirato e con determinate caratteristiche. Nello spinning estremo le canne devono possedere dei requisiti specifici di lunghezza, resistenza e sensibilità . La misura ottimale per quanto riguarda la lunghezza si aggira attorno agli 8 piedi, per agevolarci sia nella fase di lancio che nella gestione degli svariati tipi di stick proposti dal mercato.
Resistenza e sensibilità sono poi le caratteristiche che distinguono una canna valida da una meno. Per avere questo, dobbiamo innanzi tutto considerare canne con innesto del fusto nel manico, in modo da non aver parti deboli o soggette a cedimento durante i combattimenti più impegnativi.
Il corpo deve essere dotato di una buona schiena in modo da permetterci di concludere il combattimento in tempi relativamente brevi e non farci quindi affaticare troppo braccia e lombari, che sono le parti del corpo che risentono maggiormente durante il combattimento. (Nella foto: KOZ Expedition EX.S-81BTM)
Potenza e sensibilità devono camminare di pari passo in quanto spesso ci troveremo a dover alternare lanci con stick da 80/90 gr ad altri con metal jig e siliconici da 40/50 gr e allo stesso tempo gestirli al meglio, quindi canne troppo potenti ci aiuteranno durante il combattimento ma saranno sicuramente un limite sulla gestione degli artificiali.
L’impugnatura dovrà avere una lunghezza di 70/80 cm in modo da permetterci di avere il fulcro della leva in fase di combattimento molto alto e di poter tenere le braccia ben divaricate nella fase di lancio.
Con il passare del tempo le aziende hanno sviluppato prodotti sempre più specifici, dando la possibilità al pescatore di scegliersi lo strumento più adatto alle proprie esigenze.
– canne ad azione light per gestire siliconici o piccoli stick, dotate quindi di una maggior morbidezza, per caricarsi sulla fase di lancio;
– canne ad azione medium che grazie alla loro versatilità sono di riferimento per il neofita o per chi possedendo un solo strumento di pesca, si trova a dover gestire con lo stesso attrezzo sia artificiali leggeri che pesanti;
– canne strong, molto simili a quelle usate ai tropici, spesso con lunghezza leggermente inferiore agli 8 piedi e più rigide in punta per riuscire ad imprimere con il minimo sforzo una bella jerkata sul popper o sullo stick bait che stiamo utilizzando.
MULINELLO, COMPAGNO DI AVVENTURA.
Essendo lo spinning al tonno rosso una tecnica estrema paragonabile a quella effettuata ai tropici, anche il mulinello deve possedere determinate caratteristiche in termine di capienza in bobina, frizione, robustezza e leggerezza.
Attrezzi conosciuti a livello internazionale hanno fatto sicuramente da precursori in quanto già conosciuti dagli amanti del tropico, a seguire molte aziende si sono accodate proponendo soluzioni con un ottimo rapporto qualità prezzo.
Una delle caratteristiche che per prime andremo a valutare nella scelta del mulinello sarà la capienza in bobina, deve cioè poter contenere almeno 250/300 metri di trecciato da 80 libbre, quindi con diametro di 0,40 circa. La frizione dovrà essere obbligatoriamente stagna e composta da dischi in ceramica, acciaio e carbonio, con un max drag non inferiore alle 50 lb in modo da permetterci di chiudere la frizione anche nel confronto più estremo con pesci di taglia.
Il rapporto di recupero dovrà essere necessariamente basso… rapporti 4,7:1 – 4,9:1 sono i più indicati per poter assicurare la necessaria riserva di potenza in fase di recupero. (Nella foto: CABO 100)
Come per la canna, un buon mulinello, per essere considerato tale, deve avere un buon rapporto robustezza/leggerezza, dove per robustezza intendiamo che le parti soggette a maggior sforzo come alberino, cuscinetti, manovella e ingranaggi siano maggiorati e il peso resti contenuto, variando in base ai modelli da un peso di 700 gr a 950 gr.
CHE LA CACCIA ABBIA INIZIO.
Una delle caratteristiche che differenziano questa tecnica dalle altre è la modalità di scelta dello spot in cui pescare, che viene effettuata partendo da un ragionamento molto semplice: individuare la zona in cui staziona il pesce foraggio.
Per fare questo possiamo affidarci alle informazioni date dai nostri amici pescatori riguardo ad un’attività più o meno cospicua nei giorni precedenti oppure, come spesso facciamo in Adriatico, individuare le batimetriche in cui trainano le volanti: barche di pescatori professionisti che con delle grandi reti, mirano alla cattura di alici e sardine, quindi la loro preda sarà il nostro tramite per arrivare ai banchi di tonni.
Stabilita la zona, cercheremo una conferma sulla presenza del foraggio con l’ausilio dell’ecoscandaglio, che sebbene impostato, sarà in grado di battere il fondo ed eventuali palle di acciughe anche con la barca in navigazione alla velocità di 5/6 nodi, velocità ideale per una fase di ricerca, che ci permetterà di scandagliare una zona ampia in poco tempo.
Presenza di foraggio significa spesso presenza di gabbiani, infatti capita frequentemente di notare stormi di gabbiani fermi sul pelo dell’acqua come se stessero riposando, in realtà questo fenomeno non è casuale e deve attrarre la nostra attenzione.
Gabbiani fermi in acqua significa che lo spot è buono e c’è presenza di foraggio in profondità, sebbene con assenza di attività predatoria da parte dei tonni, che per svariati motivi in quel momento non riescono o non vogliono far scorribande ammucchiando le povere sardine e spingendole a galla per poi abbuffarsi.
Gli amanti di questa tecnica amano paragonare lo spinning al tonno ad una vera e propria battuta di caccia, dove appunto l’interesse viene rivolto ai volatili piuttosto che ai pesci. Anche il volo dei nostri amici gabbiani, se ben interpretato, può essere di grande aiuto. Dopo giorni trascorsi a scrutarli in cielo, abbiamo capito molto: perché volano in formazione aperta, cosa fanno quando vedono pesci in caccia in profondità, cosa fanno quando capiscono che il pesce si sta alzando e soprattutto come volano quando il tonno è prossimo all’attacco, permettendoci di lanciare in anticipo e in punto ben preciso, evitandoci quindi lanci sbagliati o in ritardo, causa spesso di giornate con poche allamate soprattutto se ci troviamo di fronte pesci veloci che cacciano in banchi pochi numerosi.
AVVICINAMENTO ALLA MANGIANZA.
Individuato lo spot, la presenza di foraggio e di gabbiani, la nostra giornata può considerarsi iniziata.
Avvistata la mangianza, dovremmo effettuare l’avvicinamento tenendo conto che se eseguito nel modo scorretto infastidirà i pesci che si inabisseranno ancor prima del nostro arrivo.
I fattori di cui dobbiamo tener conto sono la direzione del vento e il rumore prodotto dai nostri motori. Per effettuare l’avvicinamento nel migliore dei modi, dovremmo dirigere la nostra imbarcazione verso il punto anche a velocità sostenuta, ma ridurla attorno ai 5 nodi già da una distanza di circa 200 metri per abbassare il numero di giri del motore e quindi il fragore prodotto, procedendo poi fino ad una distanza che ci permetterà di lanciare i nostri artificiali fin sopra la mangianza.
In presenza di giornate ventose e superficie increspata, spesso il modo migliore per produrre meno rumore e quindi infastidire meno il pesce, risulta essere l’avvicinamento effettuato con la prua al vento e a bassa velocità, situazione che ci permetterà di evitare di far sbattere la carena della nostra imbarcazione sulle onde e allo stesso tempo ci permetterà di cogliere di sorpresa i nostri amici pinnati.
Giunti a distanza di lancio (circa 40/50 metri) togliamo la marcia ed effettuiamo il lancio ad imbarcazione completamente ferma.
Un lancio effettuato con barca in movimento, creerà sicuramente fastidiose pance al trecciato, che andranno ad inibire l’azione del nostro artificiale o nel caso di attacco ci impediranno di effettuare una corretta ferrata.
Se avvicinamento, lancio e recupero sono stati fatti nel migliore dei modi, con un po’ di fortuna, il cimino si fletterà, la manovella del nostro mulinello si inchioderà e le 2/3 ferrate che effettueremo per assicurarci la corretta allamata saranno solo l’inizio del gioco che più ci piace: la sfida con il pesce più potente del Mediterraneo.